Energie rinnovabili per il futuro del pianeta

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Diga di Valla, Spigno Monferrato (video di Marco Barretta | MesoHABSIM)

Diga di Valla, Spigno Monferrato (video di Marco Barretta | MesoHABSIM)

Dalla gestione integrata di solare ed eolico alle nuove forme di energia dal moto ondoso, dal rilancio dell'idroelettrico alle innovative soluzioni di accumulo termico, fino alle cosiddette “geostrutture energetiche”, il Politecnico di Torino è un cantiere aperto di idee e innovazioni che siamo andati a conoscere attraverso i suoi protagonisti.

Filippo Spertino, professore del Dipartimento Energia del Politecnico di Torino, definisce l'energia elettrica come "il vettore di più alto livello". La sua versatilità è straordinaria: può essere convertita in qualsiasi altra forma di energia, dal lavoro meccanico all'energia termica, dall'illuminazione all'alimentazione di dispositivi elettronici.

"L'elettricità è il vettore che ci permetterà di decarbonizzare l'economia", spiega Spertino, "ma deve essere gestita con intelligenza". E in questa parola - "intelligenza" - ci sta un mondo. Il suo gruppo di ricerca ha sviluppato il laboratorio Photovoltaic Zero Energy Network (PVEN), dove si sperimentano reti basate sul fotovoltaico, accumulatori elettrochimici e sistemi di controllo avanzati.

Un aspetto critico del sistema elettrico è appunto il controllo, per garantire il bilanciamento tra domanda e generazione. L'energia in altre parole deve essere prodotta quando serve, nelle diverse parti del giorno e della notte. Per ottenere questo bilanciamento i gestori di rete dei diversi paesi hanno sistemi che per ogni ora della giornata hanno l'energia programmata, prevista e quella effettivamente erogata in base a tali esigenze, ovvero energia reale.

Il caso del blackout in Spagna. Un esempio lampante di questo delicato equilibrio è emerso con il blackout che ha colpito Spagna e Portogallo il 28 aprile 2025. L'evento, che ha lasciato senza elettricità milioni di persone per alcune ore, è stato causato probabilmente da un malfunzionamento di una linea in alta tensione a 400 kV in Spagna. Il guasto ha provocato una serie di disconnessioni a catena nella rete elettrica per ragioni di autoprotezione della rete stessa, in un'ora del giorno (verso le 12:30) in cui la produzione di energia era piuttosto alta per soddisfare la domanda. Da qui una catena di eventi che ha mandato in tilt il sistema. “È errato dire che il blackout sia avvenuto a causa delle rinnovabili, che a quell'ora presumibilmente stavano generando molta energia” spiega Spertino. “La causa è un guasto che si è propagato su tutta la rete, al punto che ha spinto la Francia a disconnettersi dalla Spagna lasciando quindi la penisola iberica a dover gestire il guasto senza poter convogliare altrove l'energia eccedente”. La troppa offerta avrebbe fatto impennare la frequenza oltre il valore nominale di 50 Hz. Di fronte a una sovrafrequenza improvvisa, i sistemi di controllo hanno reagito riducendo la produzione, e così si è passati da un eccesso a un deficit grave di generazione, producendo quella "forte oscillazione" del sistema descritta dalle autorità. “Il blackout in Spagna dimostra quanto sia importante avere sistemi avanzati di stabilizzazione della rete, soprattutto in un contesto dove le rinnovabili stanno prendendo un ruolo predominante” commenta Spertino. “Il fatto che la Spagna abbia molte rinnovabili è di per sé un indubbio vantaggio, poiché costano meno delle fonti fossili e non emettono gas serra.”

Verso una transizione elettrica più rapida e sicura. Nel momento in cui stiamo seguendo con il professore l'andamento dei consumi di elettricità sul sito del gestore della rete spagnola, una mattina di aprile, il mix energetico si componeva per quasi il 70% di rinnovabili (fra eolico, fotovoltaico, idroelettrico), il 15% di nucleare, l'1% di carbone, l'8% di gas. In Italia la situazione è diversa, eolico e solare stanno crescendo ma più lentamente che altrove, mentre si registra ancora una forte dipendenza dal gas (circa 40-50% dell'elettricità), con costi decisamente più alti.

La ricerca coordinata da Filippo Spertino è funzionale a rendere la transizione all'elettrico più rapida, efficiente e sicura. I fronti di indagine sono molti: da un lato bisogna lavorare all'integrazione fra le diverse fonti proprio per sopperire alla discontinuità delle rinnovabili come eolico e solare. In questo l'idroelettrico svolge un ruolo cruciale con il pompaggio usato come accumulo di energia potenziale alimentato dalle pale eoliche e i pannelli solari.

“L'Italia dispone di 6.000 MW di capacità di pompaggio, con l'impianto di Entracque in provincia di Cuneo che da solo fornisce 1.000 MW”, spiega Spertino. “Purtroppo queste strutture sono sottoutilizzate, mentre potrebbero permettere di accumulare l'energia in eccesso prodotta dalle rinnovabili”.

La domanda chiave non è se solare ed eolico avranno un futuro in Italia (e in tutto il mondo), ma che tipo di installazioni si andranno a privilegiare. A terra o sui tetti di case e capannoni (che in via teorica potrebbero bastare per fornire tutta l'energia necessaria, occupando gli edifici il 7% del territorio italiano)? Con grandi impianti o attraverso comunità energetiche con piccole reti basate sulla scambio di prossimità e per buona parte sull'autoconsumo?

Le comunità energetiche. Il Politecnico di Torino crede da sempre nelle comunità energetiche. La prima comunità energetica sostenibile (CER) è nata in Piemonte, nel comune cuneese di Magliano Alpi, proprio con la collaborazione dell'Energy Center del Politecnico, che già a metà 2020 aveva lanciato un Manifesto delle comunità energetiche. Oggi le CER in Italia sono circa 160, ma l'obiettivo è farle diventare migliaia da qui al 2030. Fare comunità con l'energia sostenibile: questo è il senso di condividere a livello di singolo edificio o di intero borgo fonti come il fotovoltaico, ma anche eolico, biomasse e altro, con tanto di accumuli e di connessione alla rete elettrica in modo da poter prendere o immettere energia a seconda delle necessità. Ma al di là degli aspetti tecnici, le CER consentono lo sviluppo di un sistema energetico distribuito e partecipato, e l'evoluzione dei suoi membri da semplici consumatori a produttori e consumatori collettivi di energia (prosumer), con ciò che questo implica in termini di consapevolezza sociale ed ecologica.

Comunità energetica di Magliano Alpi (CN)

Comunità energetica di Magliano Alpi (CN)

Comunità energetica di Magliano Alpi (CN)

Con il laboratorio Photovoltaic Zero Energy Network il gruppo di ricerca coordinato da Spertino studia i diversi parametri energetici che servono a un buon funzionamento delle comunità energetiche. Il laboratorio è composto da tre generatori fotovoltaici collegati ad accumulatori elettrochimici e a tre utenze virtuali che simulano tre unità famigliari che producono, consumano e si scambiano energia elettrica.

Il team sta anche conducendo ricerche innovative sull'agrivoltaico, che integra agricoltura e produzione di energia solare sullo stesso terreno, con risultati positivi per gli imprenditori agricoli. Studi interessanti vengono condotti anche sul fotovoltaico galleggiante, che sfrutta l'acqua per raffreddare i pannelli aumentandone l'efficienza e riducendo l'evaporazione. Anche l'eolico è al centro delle ricerche del laboratorio, nei diversi aspetti di conversione dell'energia meccanica in elettrica, nella produzione energetica e nel collegamento ottimale di questi impianti alla rete, più in generale alle smart grid del futuro.

Catturare l'energia degli elementi: onde ed eolico offshore

Impianto di Pantelleria del MORE Lab

Impianto di Pantelleria del MORE Lab

Impianto di Pantelleria del MORE Lab

Le rinnovabili sono intermittenti? Non tutte. Il mare fornisce infatti una fonte di energia relativamente costante, quella delle onde. E se dalla costa Nordoccidentale dell'isola di Pantelleria vi fosse capitato di allungare lo sguardo, avreste scorso a circa 800 metri da riva uno scafo di 8 metri x 15 dal cui beccheggio viene generata energia elettrica. Si tratta di ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), un gioiello di innovazione tecnologica messo a punto dal gruppo di ricerca MOREnergy Lab (Marine Offshore Renewable Energy Lab) del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale-DIMEAS coordinato dalla professoressa Giuliana Mattiazzo. Nello scafo ormeggiato al fondale è alloggiato un giroscopio, che trasforma il beccheggio della piattaforma nel moto rotatorio di un generatore di energia elettrica da immettere nella rete dell'isola. Compatibile con le diverse condizioni dell'onda e idoneo ad applicazioni anche in mari chiusi, il dispositivo ha un impatto ambientale trascurabile: non ha organi in moto nell'acqua, ha un ingombro visivo paragonabile ad una comune imbarcazione grazie alla piccola altezza sul pelo libero del mare, e non produce rumori tali da disturbare la fauna locale.

ISWEC è stato concepito nel 2006 e messo in opera nel 2015, ma non è l'unica creatura del Laboratorio. A febbraio 2023, al largo di Pantelleria, è stata installata una seconda versione del dispositivo che raggiunge i 260kW di picco di produzione di energia elettrica, mentre arrivano nuovi dispositivi che trasformano il moto ondoso in energia elettrica attraverso il moto oscillante di un pendolo (PeWEC - Pendulum Wave Energy Converter).

Un altro prototipo uscito dal MOREnergy Lab si chiama WEPA (Water Energy Point Absorber). Giuseppe Giorgi, ricercatore del MOREnergy Lab, spiega: “Si tratta di una boa che si muove su e giù. Ha una linea d'ormeggio collegata al fondale e a un tamburo interno alla boa. Dal movimento su e giù, la linea si avvolge e svolge attorno al tamburo (simile a uno yo-yo al contrario), permettendo di estrarre energia elettrica”.

Per alquanto ancora in fase di prototipi, queste tecnologie potrebbero presto essere sviluppate in modo industriale come un’utile integrazione delle altre fonti. L’energia dal moto ondoso presenta infatti caratteristiche diverse rispetto ad altre fonti rinnovabili. “Prima di tutto è una forma di energia più densa (l'acqua è 1000 volte più densa dell'aria), è più costante e stabile rispetto all'eolico, è più facilmente prevedibile nel breve termine, ed è complementare con il solare e l’eolico", continua Giorgi. Nelle isole non interconnesse alla rete (come Lampedusa, Giglio e Pantelleria) l'energia del moto ondoso può parzialmente sostituire, ad esempio, i generatori diesel, e si integra bene con il solare e l'eolico.

Eolico offshore ma galleggiante. L'eolico offshore è l'altro fiore all'occhiello del MOREnergy Lab, che si concentra su tecnologie galleggianti, particolarmente adatte al Mediterraneo. A differenza del Mare del Nord, infatti, dove i fondali bassi permettono l'installazione di turbine fisse, nel Mediterraneo le profondità aumentano rapidamente allontanandosi dalla costa, rendendo necessarie soluzioni galleggianti.

Il gruppo sta anche sviluppando concetti innovativi come le turbine ad asse verticale, che ruotano attorno all'asse verticale con pale di design diverso rispetto alle turbine tradizionali. Queste potrebbero offrire vantaggi in termini di manutenzione, poiché il generatore può essere installato alla base della torre invece che in alto in una navicella, riducendo i costi di manutenzione.

Un'altra area di ricerca promettente riguarda le piattaforme ibride che combinano energia eolica e da moto ondoso sulla stessa struttura. I potenziali benefici includono una maggiore stabilità della piattaforma galleggiante e la complementarità della produzione elettrica tra le due fonti, che potrebbe ridurre la necessità di stoccaggio.

Le onde del mare sono un vero e proprio concentrato di energia, rinnovabile e quasi costante. Al Politecnico di Torino stiamo studiando soluzioni capaci di sfruttare questo enorme potenziale.

- Giuseppe Giorgi -

Giuseppe Giorgi, ricercatore

Giuseppe Giorgi, ricercatore

L'idroelettrico: una risorsa in via di rinnovamento

Condotta forzata di una centrale idroelettrica

Foto di Paolo Vezza

Foto di Paolo Vezza

L'idroelettrico rappresenta la storia ormai consolidata delle energie rinnovabili, eppure anch’essa si sta evolvendo. Il professor Paolo Vezza, docente di idraulica presso il Dipartimento di Ingegneria dell'ambiente, del territorio e delle infrastrutture (DIATI) del Politecnico, sottolinea l'importanza di questa fonte energetica per l'Italia. L'idroelettrico costituisce circa il 40-45% della produzione nazionale da fonti rinnovabili, posizionando il paese come quarto produttore di energia idroelettrica all’interno dell’Unione Europea, grazie alla presenza delle catene montuose delle Alpi e degli Appennini.

Il funzionamento degli impianti idroelettrici è apparentemente semplice: l'acqua viene accumulata in invasi artificiali o prelevata dai corsi d’acqua naturali per essere raccolta in vasche di carico. Dagli invasi o dalle vasche partono quindi le condotte forzate che, sfruttando il dislivello, permettono all’acqua di far girare le turbine e produrre energia elettrica. Sebbene lo schema generale sia sempre simile a se stesso, in realtà ogni impianto è un mondo a sé, con soluzioni tecniche studiate su misura che raccontano la straordinaria storia dell'ingegneria idraulica ed elettrica dell'ultimo secolo. Vezza osserva: “Il grande idroelettrico è una fortuna averlo già installato, ma molto meno costruirlo", tanto sono possenti e onerose le opere. Ora è arrivato il momento di innovarlo e aggiornarne il sistema di funzionamento anche alla luce del contesto ambientale.

Se neve e piogge scarseggiano. Il cambiamento climatico sta modificando profondamente il ciclo idrologico, con ripercussioni significative sulla produzione idroelettrica. L'aumento delle temperature comporta che, oltre alla inevitabile fusione dei ghiacciai, una parte di quell’acqua che prima era neve ora cada come pioggia, dovuta all’innalzamento dello zero termico. Il regime idrologico si sta trasformando, con piogge più intense e concentrate. “Se la neve si scioglie prima, come sta succedendo, ci sarà meno riserva per l'estate. Questo significa che il picco di produzione idroelettrica, per gli impianti privi di invaso, potrà essere anticipato di uno o due mesi rispetto al passato” spiega Vezza.

Un altro dato preoccupante riguarda le precipitazioni medie a scala nazionale: confrontando quanto è piovuto in media negli ultimi 30 anni rispetto al periodo 1921-1950, si evidenzia un trend negativo con una differenza che oggi raggiunge il 19%, equivalente a quasi un quinto della risorsa idrica che non cade più dal cielo.

Il nuovo idroelettrico è più ecologico. Nel 2029 scadranno le concessioni dei grandi impianti e occorre pensare a quale sarà il futuro di questa fonte energetica così importante. Ciò a cui sta lavorando il Politecnico è quindi la visione di un "nuovo idroelettrico" che possa produrre energia rinnovabile e, al tempo stesso, essere ambientalmente sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici.

Fiume Stura (Ovada), misure di profondità e velocità della corrente (video di Marco Barretta | MesoHABSIM)

Fiume Stura (Ovada), misure di profondità e velocità della corrente (video di Marco Barretta | MesoHABSIM)

"L'idroelettrico del futuro, per come lo stiamo immaginando e proponendo, sarà più attento all'impatto sugli ecosistemi acquatici, con soluzioni gestionali innovative che permettano il revamping e l’aumento della produzione di energia" spiega Vezza. La sfida chiave di questo adattamento sarà modulare la produzione in funzione della disponibilità d'acqua e dei processi ecologici alla base dell'ecosistema fluviale. “Il passaggio normativo attuale che regola il rilascio del Deflusso Ecologico (DE) dalle prese idroelettriche rappresenta una occasione unica, la quale, unita al rinnovo delle concessioni, ci permette di fare proposte di revamping e potenziamento di impianti climaticamente resilienti e ambientalmente compatibili”, dice Vezza.

Di certo le grandi dighe, in questa nuova versione molto più attenta all'integrità dei fiumi che le alimentano, continueranno a svolgere un ruolo importante nel sistema elettrico nazionale, sia per la produzione, sia per la conservazione di energia, tramite stazioni di pompaggio che possano garantire l’accumulo di acqua negli invasi sotto forma di energia potenziale, utilizzando la produzione eccedente, per esempio, da eolico e solare.

Energia termica rinnovabile, come produrla e conservarla

Laboratorio Envipark

Laboratorio Envipark

Laboratorio Envipark

Il 50% dell’energia primaria mondiale serve per il riscaldamento e il raffrescamento, sia in ambito civile sia industriale. Inoltre il 90% delle conversioni energetiche coinvolge il calore in qualche aspetto, rendendo impossibile una vera decarbonizzazione senza affrontare il problema dell'energia termica. Mentre rendere rinnovabile la produzione di acqua calda sanitaria (circa il 10-15% del consumo termico di un edificio) è relativamente semplice attraverso i pannelli solari, il vero problema riguarda il riscaldamento degli ambienti, che costituisce circa due terzi del consumo termico totale. E sempre di più anche il loro raffrescamento in un futuro sempre più caldo.

Il solare termico è una tecnologia matura in grado di soddisfare una buona parte della domanda di acqua calda di un’abitazione; diverso è il discorso sul riscaldamento, che necessiterebbe di conservare a lungo termine il calore generato per i periodi di freddo. Anche in questo campo la ricerca che si conduce al Politecnico di Torino dà il suo contributo. Il gruppo del professor Eliodoro Chiavazzo, del Dipartimento Energia, lavora infatti sulle diverse tecnologie di accumulo termico. "L'accumulo puramente fisico è la tecnologia più tradizionale, come i boiler di acqua calda domestici, che però non permette uno stoccaggio a lungo termine poiché l'energia viene dispersa nell'ambiente col passare del tempo" spiega Chiavazzo. "Una seconda stategia di accumulo è quella termochimica, che utilizza reazioni chimiche per conservare il calore in forma potenziale". Con il progetto PNRR “NEST, Spoke 6” il gruppo di ricerca guidato da Chiavazzo ha applicato questi concetti al cemento, in modo da riutilizzare utilmente questo materiale diffusissimo. In questo sistema, il cemento "pellettizzato" viene essiccato durante l'estate utilizzando l'energia solare, e quando in inverno viene esposto al vapore acqueo, rilascia calore. Questo permette uno stoccaggio "loss-free" (senza perdite), in cui l'energia termica può essere conservata teoricamente all'infinito finché i componenti cemento e acqua rimangono separati.

La terza tecnologia è l'accumulo latente, che utilizza materiali a cambiamento di fase, principalmente paraffine, con scambiatori di calore con design innovativi che integrano attuatori meccanici per accelerare i processi di trasferimento dell’energia e quindi le fasi di carica e scarica. Nel passaggio di stato, proprio come l'acqua che ghiaccia, si cede calore, quindi si riscalda. Viceversa, si può anche raffrescare proprio come il ghiaccio che fondendo sottrae calore all'ambiente circostante. Con il cambiamento climatico e l'aumento della domanda di raffrescamento, la ricerca si sta orientando infatti anche verso l'accumulo del freddo. Secondo le proiezioni dei climatologi, la potenza di raffrescamento richiesta aumenterà significativamente, creando picchi nella domanda elettrica. Sviluppare tecnologie di accumulo del freddo potrebbe quindi aiutare a gestire questi picchi, rendendo la domanda più flessibile.

La geotermia integrata nelle città

Tunnel metropolitana

Enertun, Politecnico di Torino

Enertun, Politecnico di Torino

Completiamo questo viaggio nelle energie rinnovabili con un'innovazione che trasforma letteralmente le infrastrutture urbane in centrali energetiche. La geotermia, che normalmente associamo alle pompe di calore installate negli edifici per riscaldare o raffrescare, può essere sfruttata in modo ancora più efficiente e integrato. Meno noto è infatti che si possa ottenere lo stesso risultato non con sonde dedicate, ma utilizzando le intere costruzioni civili come elementi di scambio termico. Si chiamano "geostruttture energetiche" e sono la specialità del professor Marco Barla del Dipartimento di Ingegneria strutturale, edile e geotecnica del Politecnico di Torino (DISEG).

Il concetto alla base di queste ricerche è l'integrazione degli scambiatori geotermici nelle costruzioni civili. Così come i pannelli solari oggi non vengono semplicemente appoggiati sui tetti ma integrati negli elementi costruttivi degli edifici, l'obiettivo è incorporare gli scambiatori di calore nelle strutture a contatto con il terreno. Invece di realizzare apposite sonde o pozzi geotermici, si sfruttano elementi strutturali già necessari come fondazioni, rivestimenti di gallerie o muri contro-terra. La tecnologia resta la stessa: tubi scambiatori in cui scorre un fluido che assorbe o cede calore al terreno circostante.

Uno dei progetti più significativi sviluppati dal team di Marco Barla è Enertun, un brevetto che consente di trasformare i conci di rivestimento di una galleria in scambiatori di calore. Il sistema è stato installato a Torino, nei pressi di piazza Bengasi, con un tratto sperimentale realizzato durante la costruzione della galleria della metropolitana. La galleria è ora in esercizio e il calore scambiato dai conci strumentati viene utilizzato all'interno della stazione, in un locale tecnico utilizzato dal personale. Questo tipo di sistema è stato previsto anche nell'ambito della progettazione della linea 2 della metropolitana di Torino, con l'idea di attrezzare tutte le gallerie e le stazioni con tubi scambiatori che trasformano l'intero involucro dell'opera sotterranea in uno scambiatore di calore diffuso.

Il sistema sfrutta il fatto che a una profondità di 7-8 metri la temperatura sia più o meno costante fino a 30-40 metri, dopodiché inizia ad aumentare con la profondità. In questa zona di temperatura costante (circa 14-15°C nelle latitudini di Torino), è possibile ottenere uno scambio termico efficiente e prevedibile.

Il fluido che circola nei tubi viene convogliato a una pompa di calore che scambia con un impianto secondario, utilizzabile per il riscaldamento o il raffrescamento degli edifici. Una caratteristica fondamentale della geotermia superficiale è proprio la possibilità di funzionare a ciclo inverso, permettendo sia il riscaldamento invernale sia il raffreddamento estivo degli ambienti.

Nel caso della metropolitana di Torino, l'idea è utilizzare questo sistema per climatizzare le stazioni della linea. I calcoli mostrano che ci sarà un surplus energetico che potrà essere dirottato verso edifici in superficie. Per massimizzare l'efficienza energetica e ridurre le perdite di distribuzione, è preferibile utilizzare il calore localmente, negli edifici prossimi alle stazioni della metro o ai pozzi di ventilazione. Opere simili sono state già realizzate in posteggi sotterranei e presso l'Energy Center del Politecnico stesso, dimostrando la fattibilità tecnica ed economica di questi interventi.

Il retrofit energetico. Il team di Marco Barla lavora anche sul retrofitting energetico di strutture esistenti, come nel caso di una galleria autostradale sulla A26. In questo progetto innovativo, il rivestimento esistente di calcestruzzo (spesso circa 80 cm) è stato parzialmente fresato, lasciando circa 30-40 cm. Negli spazi ricavati sono stati installati tubi scambiatori, e successivamente è stato gettato nuovo calcestruzzo per completare la struttura. Il calore così recuperato dalla galleria viene utilizzato per lo sghiacciamento (deicing) del fondo stradale al posto del tradizionale spargimento di sale, con evidenti vantaggi ambientali ed economici.

Un aspetto più recente della ricerca riguarda l'utilizzo delle opere sotterranee e delle geostrutture energetiche non solo per la produzione, ma anche per lo stoccaggio energetico stagionale. Il team del professor Barla ha recentemente avviato un progetto europeo chiamato Regenerate, che mira a riutilizzare opere sotterranee abbandonate per scopi energetici. Un esempio concreto è la galleria dismessa della Torino-Ceres, che una volta collegava Dora a Madonna di Campagna. Altre strutture potenzialmente utilizzabili sono i rifugi antiaerei abbandonati o le gallerie industriali non più utilizzate, come quelle della ex Fiat.

Il principio applicativo è semplice quanto efficace: una galleria abbandonata potrebbe essere sigillata e riempita d'acqua che viene riscaldata durante l'estate, sfruttando il calore in eccesso proveniente da processi industriali o dal solare termico. Questo calore, immagazzinato come in un'enorme batteria termica, potrebbe poi essere utilizzato durante l'inverno per riscaldare edifici vicini, creando una piccola rete di teleriscaldamento locale ad alta efficienza energetica.

Questi progetti di retrofitting energetico sono particolarmente promettenti per l'Italia, considerando l'ampia disponibilità di un patrimonio immobiliare e infrastrutturale datato che potrebbe essere rivalorizzato in chiave energetica. Sul tema, Marco Barla coordina il progetto Georefit, che coinvolge l'Università degli studi di Perugia, il Politecnico di Milano e l'Università degli studi di Milano in un network di ricerca dedicato. Altre università italiane che contribuiscono a questa frontiera tecnologica includono le università di Palermo, Napoli e Padova, formando un polo di eccellenza nazionale nel campo della geotermia integrata.